Appena arrivati a Marrakech, l'autista ci fa scendere in una piazzetta: macchine e motorini ovunque, da e per tutte le direzioni senza un ordine o un senso di marcia. Il proprietario di un ristorante ci invita a mangiare nel suo locale, capisce che siamo italiani e quando gli dico che vengo da Roma mi dice che gli piace la fontana di Trevi, quella in cui tutti lanciano una monetina. Fa un gesto teatrale imitando i turisti e ride in modo beffardo, come a sottolineare la stupidità della cosa. Non posso dargli torto.
Ci addentriamo nei vicoletti, dove i piccoli negozietti si susseguono l’un l’altro ininterrottamente con merce di ogni tipo esposta e ingorghi di pedoni e motorini che camminano insieme, aggrovigliandosi ma evitandosi miracolosamente.. Odori di ogni tipo si sovrappongono, si mescolano, danzano nell'aria: cibo, carbonella fumante, gas di scarico dei motorini, sudore, urina, l’odore pungente degli scarti alimentari riversati nei cassonetti lasciati aperti. I rumori mi assediano, frastornandomi: conversazioni in arabo urlate da un lato all'altro della stradina, clacson impazziti, rumori di cucina, rumori di bottega.
Gatti, polli e galline scorrazzano liberamente, un gruppetto di asini carichi all'inverosimile scende faticosamente dalle ripide scale di pietra di un vicolo: il capofila si ferma davanti a me e mi guarda con la disperazione negli occhi. Gli accarezzo il muso, imprigionato in una rudimentale museruola fatta con il fondo di un contenitore di plastica; poi compare il padrone, che li spinge ad andare avanti e li guardo allontanarsi con il cuore stretto in una morsa di dispiacere.
Ci addentriamo nei vicoletti, dove i piccoli negozietti si susseguono l’un l’altro ininterrottamente con merce di ogni tipo esposta e ingorghi di pedoni e motorini che camminano insieme, aggrovigliandosi ma evitandosi miracolosamente.. Odori di ogni tipo si sovrappongono, si mescolano, danzano nell'aria: cibo, carbonella fumante, gas di scarico dei motorini, sudore, urina, l’odore pungente degli scarti alimentari riversati nei cassonetti lasciati aperti. I rumori mi assediano, frastornandomi: conversazioni in arabo urlate da un lato all'altro della stradina, clacson impazziti, rumori di cucina, rumori di bottega.
Gatti, polli e galline scorrazzano liberamente, un gruppetto di asini carichi all'inverosimile scende faticosamente dalle ripide scale di pietra di un vicolo: il capofila si ferma davanti a me e mi guarda con la disperazione negli occhi. Gli accarezzo il muso, imprigionato in una rudimentale museruola fatta con il fondo di un contenitore di plastica; poi compare il padrone, che li spinge ad andare avanti e li guardo allontanarsi con il cuore stretto in una morsa di dispiacere.
Nel cuore della Medina riscopro i mestieri e gli artigiani, una fucina di api laboriose e sorridenti, che non disdegnano di scambiare quattro chiacchiere. Mi mostrano il loro lavoro, m'invitano a dare un'occhiata, anche se non compro niente. La fretta occidentale non fa parte delle loro giornate e quando dico loro che devo andare, che gli amici mi stanno aspettando, mi rispondono: "Ok, però la prossima volta torna da sola, così vieni con calma." Se poi inizi a contrattare con loro per un articolo, ti porgono un comodo sedile imbottito e ti offrono un po' del loro buonissimo tè alla menta, l'acquisto passa in secondo piano e vogliono sapere tutto di te. Quando ho detto ad uno di loro che mi piace tanto il calore delle persone del suo paese, quello si è voluto assolutamente fare una foto con me. Passeggiando nei vicoletti sento un rumore di passi scalpiccianti e mi faccio da parte per far passare un gruppetto di ragazzine che giocano zigzagando a perdifiato nelle viuzze; mentre passano, una di loro, senza minimamente rallentare, mi dà una pacca sul sedere e si gira a guardarmi ridendo. Scoppio a ridere anch'io, disarmata dalla loro esuberante umanità.
A Fès sono stata catapultata nel Medioevo in un istante. All'ingresso delle concerie di pellame ci hanno dato un rametto di menta, che poco ha potuto fare contro l'odore acre e pungente dei coloranti e delle pelli, arrivato dritto dritto nello mio stomaco. Qui le pelli si tingono ancora a mano o meglio, con i piedi, immersi fino alla cintola nelle acque colorate delle cellette, dalla mattina alla sera, finché c'è luce, per pochi spiccioli.
A Fès sono stata catapultata nel Medioevo in un istante. All'ingresso delle concerie di pellame ci hanno dato un rametto di menta, che poco ha potuto fare contro l'odore acre e pungente dei coloranti e delle pelli, arrivato dritto dritto nello mio stomaco. Qui le pelli si tingono ancora a mano o meglio, con i piedi, immersi fino alla cintola nelle acque colorate delle cellette, dalla mattina alla sera, finché c'è luce, per pochi spiccioli.
Durante questo viaggio mi sono resa conto che in altre circostanze mi sarei irritata per le stanze non proprio pulite con qualche cordonata di formiche, la blatta che nella piazza di Marrakech mi è sfrecciata vicino ai piedi diretta alla moschea (forse era in ritardo per la preghiera serale), la scarsa connessione internet, gli odori nelle strade. Invece sto abbracciando tutto con spirito di di adattamento, di avventura e di scoperta di un mondo completamente diverso dal mio.
Sono una persona diversa rispetto a quando sono partita. Ho scoperto il valore di un sorriso, di un gesto, di una parola gentile, di quattro chiacchiere scambiate senza motivo, di una battuta sincera, di una stretta di mano e di un abbraccio, anche e soprattutto con degli sconosciuti. È stato bello fare fotografie, ma è stato ancora migliore calarsi in questo strano mondo fatto di tanti colori e suoni diversi. Riporto con me uno scrigno di valore inestimabile.
Sono una persona diversa rispetto a quando sono partita. Ho scoperto il valore di un sorriso, di un gesto, di una parola gentile, di quattro chiacchiere scambiate senza motivo, di una battuta sincera, di una stretta di mano e di un abbraccio, anche e soprattutto con degli sconosciuti. È stato bello fare fotografie, ma è stato ancora migliore calarsi in questo strano mondo fatto di tanti colori e suoni diversi. Riporto con me uno scrigno di valore inestimabile.
Mi sveglio prima dell’alba per esplorare in solitaria questa pittoresca cittadina costiera con le case bianche e blu che si perdono in vicoli e vicoletti. Appena sbucata su una piazzetta, un signore, probabilmente un pescatore, mi chiede in francese se voglio un caffè... Declino gentilmente, ma scambiamo due chiacchiere del tipo “da dove vieni? Ah, Italia? E dove?”
Vado verso l’oceano, quasi fermo, come in attesa del sorgere del sole per potersi muovere anch'esso: la sabbia è bagnata fino a ridosso della strada: mi sfilo le scarpe e metto i piedi a mollo, assaporando ogni sensazione. L’acqua dell'Atlantico, per niente fredda come mi sarei aspettata, è di un grigio perla e riflette le morbide nuvole che oziano pigre nella tranquilla mattinata senza tempo. Un cane appena uscito dall'acqua mi corre incontro giocoso e mi annusa girandomi intorno; lo saluto, poi sorrido al padrone che mi saluta a sua volta come se ci conoscessimo. Osservo le persone mattiniere come me: quelli a spasso con il cane, quelli che corrono, un gruppo di ragazzi che gioca a pallone, un signore in giacca e cravatta che cammina sulla sabbia con i mocassini buoni... tante vite che si sono sfiorate per un attimo.
Vado verso l’oceano, quasi fermo, come in attesa del sorgere del sole per potersi muovere anch'esso: la sabbia è bagnata fino a ridosso della strada: mi sfilo le scarpe e metto i piedi a mollo, assaporando ogni sensazione. L’acqua dell'Atlantico, per niente fredda come mi sarei aspettata, è di un grigio perla e riflette le morbide nuvole che oziano pigre nella tranquilla mattinata senza tempo. Un cane appena uscito dall'acqua mi corre incontro giocoso e mi annusa girandomi intorno; lo saluto, poi sorrido al padrone che mi saluta a sua volta come se ci conoscessimo. Osservo le persone mattiniere come me: quelli a spasso con il cane, quelli che corrono, un gruppo di ragazzi che gioca a pallone, un signore in giacca e cravatta che cammina sulla sabbia con i mocassini buoni... tante vite che si sono sfiorate per un attimo.
Il mercato del pesce è una frenesia di colori, voci e profumo di mare. I pescatori sono assediati dagli intraprendenti gabbiani che rubano tutti gli scarti di pesce che riescono ad arraffare, pesci di ogni tipo, forma e dimensione vengono sistemati sui piccoli banchi, le barchette blu continuano ad arrivare portando altro pesce, gli acquirenti contrattano fino all'ultima vongola e i gatti, padroni oziosi e onnipresenti, sorvegliano ogni movimento con la loro regale nonchalance.
Le scure sagome delle tende disposte in cerchio come sentinelle silenziose, l’alberello fuori della mia tenda che fruscia delicato nella brezza notturna, una piccola porta spalancata sull'intero universo. Miliardi di stelle ricoprono il drappo della notte come tanti diamanti di ogni foggia e dimensione, la Via Lattea spadroneggia, la costellazione dello Scorpione si erge maestosa, Giove sbrilluccica fiero e il Grande Carro si inarca elegante sopra la mia testa. Ogni tanto un piccolo dardo infuocato solca il cielo, rendendo quel momento unico ed irripetibile.
Il silenzio è totale. La mia mente tace anch'essa, muta di fronte a tale spettacolo, ma queste mie parole non saranno mai in grado di descrivere quello che vedo e sento, persa in contemplazione dell'infinito cosmico. Il mio cuore e la mia anima si riempiono di tale oscura bellezza e non posso fare a meno di sentirmi sola e smarrita di fronte a tanta immensità. Minuscolo granello di polvere in un deserto sconfinato, chi sono io per pretendere qualcosa? Che mai posso fare, se non tentare di tradurre tanta magnificenza affinché altri possano avere, un giorno, la voglia e la curiosità che spinge me alla scoperta e all'emozione? Il deserto, sconfinato e silenzioso, sonnecchia con me, che tento invano di tenere gli occhi aperti per timore di qualche animaletto nella tenda. Accendo brevemente la torcia e una formica color della sabbia e ben pasciuta mi guarda a pochi centimetri dal mio piede nudo: sussulto, ma poi mi rendo conto di essere io l’intrusa. Mentre scrivo, piccoli insettini volanti zompettano sulle mie mani e sul taccuino: dapprima li scaccio, ma poi, nuovamente, mi accorgo che non c’è alcun pericolo. La formica, infastidita dalla mia torcia, scappa infilandosi sotto uno dei tappeti che ricoprono il pavimento della tenda. Do un ultimo sguardo al cielo ingioiellato, imprimendo avidamente tutta quella bellezza sulla retina, chiudo a malincuore la mia porta sull'infinito e vado a dormire, con una pace nell'anima mai provata in vita mia. |
Arriviamo alle porte del Sahara, il tempo di lasciare i bagagli nelle tende, dove fanno ancora 45°C nonostante sia quasi sera, e poi via sui pick-up. Direzione: l'oceano di sabbia dell'Erg Chebbi.
Mentre l’arancione delle maestose dune s'infuoca nell'ultima luce del giorno, scavalchiamo a piedi le prime, piccole alture e ci inoltriamo nel deserto. La luce dorata e radente crea giochi di luce con le ondine di sabbia mosse dal vento. Cerchiamo di catturare ogni dettaglio prima che il sole si tuffi tra le creste sabbiose, godendo di un vento ristoratore dopo la calura del giorno. La sabbia fine e soffice si infila dappertutto, ma in fondo è piacevole. La luce inizia a svanire, ma noi restiamo a contemplare le tinte variopinte del cielo, rosso ad ovest, azzurro sopra le nostre teste e violetto ad est. La sabbia cambia colore con il cielo, diventando giallo ocra, mentre le dune maestose si preparano alla notte. Torniamo sui nostri passi, seguendo le orme lasciate nella sabbia, nella luce ormai azzurrina della sera.
Mentre l’arancione delle maestose dune s'infuoca nell'ultima luce del giorno, scavalchiamo a piedi le prime, piccole alture e ci inoltriamo nel deserto. La luce dorata e radente crea giochi di luce con le ondine di sabbia mosse dal vento. Cerchiamo di catturare ogni dettaglio prima che il sole si tuffi tra le creste sabbiose, godendo di un vento ristoratore dopo la calura del giorno. La sabbia fine e soffice si infila dappertutto, ma in fondo è piacevole. La luce inizia a svanire, ma noi restiamo a contemplare le tinte variopinte del cielo, rosso ad ovest, azzurro sopra le nostre teste e violetto ad est. La sabbia cambia colore con il cielo, diventando giallo ocra, mentre le dune maestose si preparano alla notte. Torniamo sui nostri passi, seguendo le orme lasciate nella sabbia, nella luce ormai azzurrina della sera.
La sveglia trilla tutta contenta alle 4.30 del mattino; butto la faccia sotto l’acqua per svegliarmi e monto sul pick-up già pronto fuori dalla tenda. L’autista segue le piste nella brulla spianata di roccia e sabbia, pigiando come un matto sull'acceleratore e trasformando quel breve tragitto in un giro sulle montagne russe, in una corsa contro il chiarore che si diffonde sempre più veloce e incalzante nel cielo. Il sole sorge in pochi attimi sbrigativi, inondando le dune della promessa di un'altra, rovente, giornata.
Montiamo sui dromedari e poi via per un'altra eccitante avventura nel deserto marocchino. La sabbia è già calda, ma con una manciata di coraggiosi (e un po' pazzi) compagni, decidiamo di arrampicarci a piedi scalzi su una delle dune più alte. La cima del crinale appare come un miraggio: affondo continuamente nella sabbia che inizia a scottare, sento la gola raschiare dall'arsura, il naso irritato, il cuore che pompa a mille e i piedi in un calderone di lava bollente.
Ma alla fine ce l’ho fatta. A cavalcioni sul crinale, stando attenta a non rotolare giù dall'altra parte (sai le risate...), affondo i piedi nella sabbia fresca in ombra e mi godo il fantastico panorama: non c’è altro rumore che quello della brezza che ci rinfresca e dei nostri respiri che cercano di rallentare dopo la salita.
Nonostante siano solo le 8.00 di mattina, il sole inizia a cuocerci a fuoco lento, così, a malincuore, scendiamo da quella terrazza privilegiata, caracollando goffamente giù per i pendii scoscesi e ridendo come matti. Risaliamo sui docili e dondolanti dromedari e ci lasciamo condurre dai berberi, stremati, silenziosi e grati dell'esperienza appena vissuta. S’ode solo il fruscio regolare delle zampe dei dromedari nella sabbia. Ipnotico.
Ma alla fine ce l’ho fatta. A cavalcioni sul crinale, stando attenta a non rotolare giù dall'altra parte (sai le risate...), affondo i piedi nella sabbia fresca in ombra e mi godo il fantastico panorama: non c’è altro rumore che quello della brezza che ci rinfresca e dei nostri respiri che cercano di rallentare dopo la salita.
Nonostante siano solo le 8.00 di mattina, il sole inizia a cuocerci a fuoco lento, così, a malincuore, scendiamo da quella terrazza privilegiata, caracollando goffamente giù per i pendii scoscesi e ridendo come matti. Risaliamo sui docili e dondolanti dromedari e ci lasciamo condurre dai berberi, stremati, silenziosi e grati dell'esperienza appena vissuta. S’ode solo il fruscio regolare delle zampe dei dromedari nella sabbia. Ipnotico.