Il primo sole del mattino lambisce le pareti a picco del canyon tuffandosi in quella spaccatura sul volto della terra profonda 3.386 metri. Una valle all’apparenza spoglia e desolata sferzata dal vento andino e inondata dall’abbacinante luce blu del cielo. Ma c’è del movimento, piccoli puntini che si fanno sempre più grandi e definiti fino a riempire gli occhi di stupore e meraviglia. I condor delle Ande si librano pigri sulle correnti ascensionali , scrutandoci come fossimo formichine accalcate sul bordo del precipizio. I giovani, più curiosi, ci studiano appollaiati goffamente su una roccia troppo piccola per le loro dimensioni; gli adulti fanno ampi cerchi tenendosi accuratamente lontani da quel chiasso umano.
Io, intimorita ed estasiata, seguo le virate e le planate, gli sguardi penetranti e le lunghe piume mosse dal vento.
E tu osservi tutto da lassù, placidamente indifferente al maestoso paesaggio, totalmente noncurante della presenza dell'uomo. Figlio del vento, volteggi maestoso ed elegante, padrone di un'invidiabile libertà che posso solo sognare.
Io, intimorita ed estasiata, seguo le virate e le planate, gli sguardi penetranti e le lunghe piume mosse dal vento.
E tu osservi tutto da lassù, placidamente indifferente al maestoso paesaggio, totalmente noncurante della presenza dell'uomo. Figlio del vento, volteggi maestoso ed elegante, padrone di un'invidiabile libertà che posso solo sognare.
Condor delle Ande (Vultur gryphus)
Canyon del Colca, Perù